Il simbolismo e il suo utilizzo

Il simbolismo è parte integrante di molte vie spirituali e di quelle iniziatiche in particolare. Il simbolo ha infatti una natura diversa rispetto alla parola, una natura più complessa e completa, che riesce a trasmettere, a chi è in grado di comprendere, significati che la parola non riesce a rappresentare. Essa, infatti, è lo strumento della Ragione e come tale non può andare oltre la Ragione stessa. Il simbolo invece riesce ad andare oltre il livello razionale della nostra mente, giungendo in profondità, perfino se la persona non ne è cosciente. Il simbolo diviene così un mezzo di connessione con il Trascendente, un collegamento che ha in sé qualcosa di non umano e di super-umano che l’Iniziato usa per ascendere e conoscere, nel senso più profondo del termine. Dion Fortune, nella sua opera “La cabala mistica” spiega questo concetto in modo chiaro:

L’iniziato, [ … ], usa il sistema-simbolo in maniera diversa; egli lo usa come un’algebra mediante la quale egli leggerà i segreti di potenze ignote; in altre parole, egli usa il simbolo come mezzo per guidare il pensiero nell’Invisibile e nell’Incomprensibile.

Come può farlo? Egli lo fa usando un simbolo composito, un simbolo che fosse un’unità indipendente non servirebbe al suo scopo. Nel contemplare un tale simbolo composito, [ … ], egli osserva che esistono chiare relazioni tra le sue parti. Ci sono alcune parti di cui egli sa qualcosa; ce ne sono altre di cui egli può intuire qualcosa o, più grossolanamente, tirare a indovinare, ragionando dai primi principi. La mente salta da un noto a un altro noto e così facendo traversa, parlando metaforicamente, determinate distanze; è come un viaggiatore nel deserto che conosce la posizione di due oasi e compie una marcia forzata tra esse. Egli non avrebbe mai osato di inoltrarsi nel deserto dalla prima oasi se non avesse conosciuto la dislocazione della seconda; alla fine del viaggio, però, egli non soltanto sa molto di più circa le caratteristiche della seconda oasi, ma ha anche osservato il territorio che si stende tra esse. In tal modo, compiendo marce forzate da oasi a oasi, avanti e indietro attraverso il deserto, egli gradualmente lo esplora; [ … ].[1]

Nel brano Dion Fortune sottolinea la necessità di un sistema complesso, formato da più simboli. L’autrice fa riferimento all’”Albero della Vita”, celeberrimo glifo qabbalistico, ma lo stesso discorso si può fare riguardo la simbologia massonica. Un singolo simbolo, preso da solo, è ben poco utile. È nei collegamenti tra i diversi simboli interni al sistema che troviamo il modo di completare i significati dei singoli simboli e l’utilità per la trascendenza. A tal proposito dobbiamo far notare che l’azione del simbolo non si esplica solo in “orizzontale”. Ogni simbolo ha diversi piani di interpretazione e di utilizzo. Interessante, a tal proposito, la visione del Boucher, che riprende l’Abate Auber:

L’Abate Auber esaminando il simbolo nella sua applicazione speciale alla Sacra Scrittura, distingue quattro sensi che possono riferirsi al simbolo in generale: il senso letterale, allegorico, morale o tropologico e, infine, anagogico.

Il senso tropologico (dal greco tropos = mutazione e logos = discorso) si distingue dal senso anagogico (anagogé = elevazione) in quanto il primo è un senso morale e il secondo un senso mistico.[2]

Questi quattro livelli possono essere collegati anche ai quattro piani di esistenza della Qabbalah[3], dottrina, questa, non certo estranea alla Libera Muratoria, essendo una delle colonne portanti dell’esoterismo occidentale.

La Qabbalah insegna che ogni manifestazione esiste su più piani e si presenta in modi differenti.

Atziluth è il mondo (o piano) dell’emanazione, il mondo archetipale, quello delle idee pure, del divino; in esso le emanazioni non sono separate dal Creatore, ma sono le sue forme più elevate, i suoi nomi divini.

Briah è il mondo della creazione. In esso l’emanazione si distacca dal Creatore e si manifesta sotto la forma di creature. Queste prime creature sono gli Arcangeli i cui nomi sono da riferire a questo piano.

Yetzirah è il mondo della formazione, dove si trovano le immagini superiori attraverso cui saranno modellate le creature del mondo terreno. In esso troviamo i cori angelici, cause seconde, più lontane da Dio rispetto agli Arcangeli.

Assiah è il mondo materiale, dove regnano le forze di questo mondo e dove le creature si incarnano.

L’approfondimento dei simboli è di fatto una risalita da Assiah a Atziluth, man mano che si abbandona la forma del simbolo stesso per cercarne e comprenderne l’essenza. Troviamo un accenno a questo lavoro nella simbologia della pietra grezza e della pietra cubica. È proprio “sgrossando” i simboli, andando oltre la loro forma esteriore, che riusciamo a coglierne l’intima bellezza e potenza.

Perché il simbolo sia davvero efficace deve essere semplice nella sua veste grafica, non baroccheggiante e arzigogolato come spesso si vede nei Templi massonici. Gli orpelli non possono che distrarre dalla via andando a stimolare il profano senso estetico e una certa emotività a esso legata. Un simbolo semplice, costituito di poche linee, come sono i simboli massonici, può forse passare inosservato all’occhio profano, ma per l’Iniziato ha un valore e un’incisività che vanno aumentando con il tempo, penetrando nella coscienza.

I simboli massonici vanno quindi interpretati nei quattro piani, iniziando da quello materiale, con il loro significato letterale e con l’uso che quello strumento aveva nella Muratoria Operativa. Da questa conoscenza primitiva si comincia, attraverso gli strumenti della mente umana, a dipanare la matassa dei significati. Dapprima si coglieranno analogie etiche, filosofiche con la spiritualità e la vita, per poi intuire che qualcosa di più profondo e importante è celato nel simbolo stesso. A quel punto, e con la pratica e la meditazione, il simbolo penetra in noi tanto quanto noi in lui e riesce a risvegliare quelle potenze microcosmiche che giacciono nel nostro spirito per riconnetterle e ricongiungerle con le corrispondenti forze macrocosmiche, reintegrando l’Iniziato nel suo primitivo stato di Gloria, essendo questo il vero e ultimo scopo dell’Iniziazione.

Un Triplice Fraterno Abbraccio,

Enrico Proserpio

 

 

[1] Dion Fortune, “La cabala mistica”, edizioni Astrolabio, 1973, pagine 20 – 21.

[2] Jules Boucher, “La simbologia Massonica”, edizioni Atanòr, 2003, introduzione, pagina XV

[3] Personalmente preferisco questo modo di scrivere la parola, essendo la “cabala” usato spesso impropriamente per indicare superstizioni sui numeri del lotto o cose simili. In precedenza nell’articolo ho utilizzato la grafia “cabala” perché questa è usata da Dion Fortune nella sua opera e, nel citare, ho preferito essere fedele al testo.


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